Ente Morale D.L. 5 aprile 1945, n. 224

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NOTAZIONI DEL PRESIDENTE NAZIONALE ANPI
CARLO SMURAGLIA:


6 Giugno 2016 - Lettera aperta al Senatore Pietro Ichino

Premetto che non amo le lettere “aperte” che sono, in qualche modo, la negazione di una vera corrispondenza, almeno per come la si intendeva una volta. Ma quando ho notizia di una lettera “aperta” indirizzata a me, ritengo giusto rispondere.
Caro Pietro,
sono contento che tu ti rivolga a me con amicizia e non considerandomi, come sembrano fare alcuni tuoi colleghi, come un “nemico”; e sono lieto anche che tu ricordi i tempi del nostro lavoro all’Università, svolto sempre con animo “liberale”, come tu stesso riconosci.
Ciò non toglie, però, che tu commetta alcuni errori che, con lo stesso spirito di amicizia, intendo sottoporti.Anzitutto, ti rivolgi a me come ad un “duce” (un uomo solo al comando, si direbbe di questi tempi), come se io decidessi tutto da solo, anche le cose più complesse. Non è così. Io sono il Presidente di un’Associazione articolata e complessa, strutturata su organismi nazionali e periferici e soggetta a regole che intende rispettare, proprio nell’interesse di una convivenza anche fra idee diverse.
Devo dunque ricordare, ancora una volta, che la decisione di schierarsi sulla Riforma costituzionale e la Legge elettorale, è stata adottata dal Comitato nazionale, il 21 gennaio 2016, con venti voti positivi e tre astensioni. Dopo di che, della questione del referendum si è parlato nei tantissimi Congressi che si sono svolti in Italia da gennaio a maggio e, quando si è votato sul tema, ancora una volta la maggioranza si è pronunciata in modo schiacciante. Se ne è parlato ancora, ovviamente, nel Congresso nazionale, a Rimini e alla fine sono stati votati i documenti base (che contenevano anche la collocazione dell’ANPI nella campagna referendaria contro la Riforma costituzionale), con un risultato assolutamente analogo, quasi all’unanimità (347 “si” e tre astensioni). Dunque, io sono pronto ad assumermi tutte le responsabilità possibili, ma non ad apparire come colui che, dittatorialmente, decide cose rilevanti in un organismo democratico, come è sempre stata l’ANPI.
Secondo errore: tu dici che la scelta di “vietare” la partecipazione dei propri iscritti ai Comitati o anche solo alla campagna per il “SI”, sarebbe incoerente col mio indirizzo “liberale” di un tempo. Anzitutto, è sbagliato il presupposto da cui parti e basterà, al riguardo, riportare una frase importante del documento approvato dal nuovo Comitato nazionale, riunitosi per la prima volta dopo il Congresso, il 24 maggio scorso: “abbiamo sempre affermato che la nostra è un’Associazione pluralista, per cui è normale anche avere opinioni diverse. Altra cosa, però, sono i comportamenti. Ovviamente, non sarà “punito” nessuno per aver disubbidito, ma è lecito chiedere, pretendere, comportamenti che non danneggino l’ANPI e che cerchino di conciliare il dovere di rispettare le decisioni con la libertà di opinione”.
Quale è mai l’Associazione democratica che potrebbe decidere diversamente, consentendo ai dissidenti di mettersi contro le decisioni adottate dagli organi competenti, quando è loro garantita, comunque, libertà di opinione e di voto? Tu parli di “divieto” ma io non vedo nulla di simile e tantomeno ci vedo nulla di illiberale. Ogni Associazione che si rispetti, ha il suo Statuto ed il suo Regolamento ed è normale pretenderne l’applicazione altrimenti sarebbe l’anarchia. O forse tu troveresti logico vedere nella stessa piazza due banchetti, entrambi con la bandiera dell’ANPI, ma in uno si firma per il SI e nell’altro per il NO?
Lasciamo perdere le fantasie e veniamo al terzo errore. Tu dici che schierandoci e “vietando”, noi trasformeremmo l’ANPI “in un piccolo partito fra i tanti, privandola della possibilità di svolgere la sua funzione essenziale di custode e interprete autorevole dello spirito universale della Resistenza”.
Ma perché mai? A prescindere dal fatto (lo dico scherzosamente) che non si tratterebbe di un “piccolo” partito perché siamo più forti e numerosi di molti partiti anche governativi, non ci siamo trasformati in un partito quando siamo scesi in campo, nel 1953, contro la “legge truffa”; e non lo diventeremo neanche ora, perché abbiamo nello Statuto l’impegno a “concorrere alla piena attuazione della Costituzione italiana, frutto della guerra di Liberazione, in assoluta fedeltà allo spirito che ne ha dettato gli articoli”, e dunque è nostro dovere intervenire e schierarci ogni volta che riteniamo che la Costituzione e quello “spirito” rischino di essere travolti. Sbagliamo? Tutto è possibile, ma è un giudizio che spetta a noi (e l’abbiamo già espresso) e alla storia, non ai nostri avversari, che si arrogano il diritto di stabilire ciò che deve fare o non fare l’Associazione cui stiamo dando l’anima e della quale riteniamo di conoscere benissimo il ruolo che le compete e che risulta anche dai documenti del recente Congresso, che molti (sedicenti iscritti e anche buona parte della stampa) hanno disertato, per poi discutere sulle nostre “divisioni”, sui nostri “errori” e così via.
Sempre con amicizia,


Carlo

P.S. Dici che hai condiviso l’appello rivoltomi dai 70 Senatori.Anche a loro ho inviato una risposta e l’Unità l’ha pubblicata con un garbo sopraffino, cioè mettendole accanto una presa di posizione contraria di due storici. Che tempi!

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